Ha
gli spigoli vivi e le superfici a retta d'ombra, ed una finitura
splendida per un'arma militare.
Le curvature del frontstrap e del backstrap, come le chiamano
gli americani sono lisce e piene come quelle dei fianchi di
una bella donna nella sua maturità.
La brunitura del carrello al silicio nel tempo ha virato in
un piacevole colore rossiccio chiamato dai collezionisti "coda
di castoro". Quella del fusto è di un bel blu intenso.
Mi
riferisco ad una pistola Beretta mod. 34 cal. 9 corto, pervenutami
in singolari circostanze mezzo secolo dopo la sua nascita, in
condizioni perfette ad eccezione dell'interno della canna. Sul
lato sinistro del carrello è inciso l'anno di costruzione,il
1937,seguito dalle cifre romane XV relative all'anno 15esimo
dell'Era Fascista. Sul lato sinistro del fusto all'altezza dello
sperone è Incisa una corona sabauda sormontante le lettere
R E che stanno per Regio Esercito. Sul lato destro del fusto
e del carrello il numero di matricola presente anche sullo zoccolo
della canna, la cui anima presentava delle leggere erosioni
dovute alla mancanza di pulizia dopo lo sparo.
L'arma
era di mio zio Aurelio generale dei carabinieri. Già
Vice comandante generale dell'Arma e Comandante della divisione
Pastrengo negli anni 60.
Zio
Aurelio un pezzo d'uomo alto un metro e 85,aveva combattuto
come tenente nei Granatieri di Sardegna durante la Prima Guerra
Mondiale, guadagnandosi numerose decorazioni, i cui nastrini
colorati ammiravo con invidia di ventenne,in occasione dei nostri
incontri.
Avendo partecipato anche alla guerra di Spagna ed alla Seconda
Guerra Mondiale, lo zio, come amava dire, non aveva avuto il
tempo per prendere moglie ed avere figli. E pertanto sentiva
forte il desiderio della famiglia. Così sfruttava ogni
occasione per incontrare i numerosi parenti sparsi in tutta
la penisola.
In occasione delle sue rapidissime visite a Napoli per motivi
di servizio, era solito "convocare" d'autorità
mia madre che era sua cugina, mio padre e me alla stazione Garibaldi
per un frettoloso saluto. Poi ripartiva diretto al suo comando,
non prima di aver rimproverato noi e gli altri parenti convenuti
in stazione perché colpevoli di non incontrarci mai pur
vivendo nella stessa città.
All'epoca
mi dedicavo con impegno al tiro a segno ed avevo da poco vinto
il campionato italiano juniores di pistola automatica con una
Breretta Olimpionica cal.22 corto e questa fu l'occasione per
parlare con lo zio Aurelio di armi e di chiedergli di mostrarmi
la sua ordinanza.
Tirò fuori con grande cura ed affetto la Beretta 34 e
me ne raccontò l'incredibile storia. Occorre a questo
punto fare un flash back agli anni 40 in piena Seconda Guerra
Mondiale quando lo zio da capitano comandava la compagnia carabinieri
di Tobruk in Africa. Al momento della caduta della piazza in
seguito alle spallate delle divisioni corazzate inglesi, Aurelio
fu fatto prigioniero e trasferito in India. Non volendo consegnare
al nemico l'amata Beretta, prima di essere catturato smontò
completamente l'arma.
Il fusto l'occultò in una pagnotta e le altre parti le
affidò a dei commilitoni, anch'essi finiti in mano degli
inglesi. Ciascuno di costoro nascose una parte dell'arma in
una pezzuola imbevuta d'olio riuscendo come lo zio a sottrarla
alle frequenti perquisizioni delle guardie.
Al termine del conflitto dopo quasi quattro anni di prigionia
nell'umidissimo campo indiano, Aurelio fu rimpatriato con una
nave ospedale che lo sbarcò nel porto di Napoli. Per
l'artrite reumatoide contratta camminava con l'aiuto delle stampelle.
Una volta guarito e riammesso in servizio,riuscì a rintracciare
tutti i commilitoni fortunosamente sopravvissuti alla prigionia
ed incredibilmente ancora in possesso dei pezzi della Beretta.
Così l'arma fu rimontata e tornò al fianco del
suo proprietario.
Affascinato dall'oggetto e dalla sua avventurosa storia chiesi
allo zio di donarmelo. Comprensibilmente rifiutò la richiesta.
Per lui la vecchia Beretta costituiva un cimelio troppo caro
e prezioso.
Ma, da vero carabiniere era generoso e dotato di una memoria
di ferro. Non dimenticò il mio desiderio e quando venne
a mancare in seguito ad una malattia incurabile, volle che l'arma
diventasse mia.
A questo punto si prospettò un problema di natura legale.
All'epoca la Beretta 34,come tutte le pistole cal.9 Corto, era
considerata arma da guerra ed io pur essendo titolare di licenza
di porto d'armi e di collezione di armi comuni da sparo,non
potevo entrarne in possesso. Pertanto in attesa di tempi migliori
la pistola fu affidata in custodia a persona autorizzata a detenerla.
L'attesa occasione per ottenerne la cessione in modo legale,arrivò
una decina di anni fa,quando la Beretta 34 e le altre pistole
cal.9 Corto furono catalogate come armi comuni.
Così
dopo un'attesa tanto lunga e sofferta finalmente la mod.34 giunse
nelle mie mani.
Prima di inserirla in collezione volli provarla in poligono.
La caricai con delle cartucce Leon Beaux coeve dell'arma e appartenute
al citato zio, contenute in un bellissimo scatolino blu ed apparentemente
in ottimo stato di conservazione.
Con apprensione motivata dal fatto che pur sempre si trattava
di cariche del 1937,sparai il primo dei sette colpi. Incredibilmente
feci un centro sul bersaglio di pistola standard posto a dieci
metri. Gli alri sei colpi finirono tutti vicini al primo. Arma
e munizioni erano in perfetta efficienza mezzo secolo dopo la
loro fabbricazione!
Sorpreso
e pago per l'eccezionale risultato della prova a fuoco, non
volli sfidare oltre la sorte e dopo aver pulito accuratamente
la Beretta la rimisi al suo posto nell'armadio blindato.
Oggi l'arma costituisce uno dei pezzi più amati della
mia collezione. Non solo e non tanto per la sua ancora eccellente
finitura, robustezza ed affidabilità. Ma soprattutto
perché maneggiandola mi pervade il fascino sottile della
Storia. Con un poco di fantasia riesco ad immaginare le scene
drammatiche che l'arma ha vissuto al fianco del suo proprietario.
Questo cimelio è stato testimone dell'eroico agire e
del tragico patire di tanti combattenti, partecipi di quel immane
sciagura che è la guerra. Queste riflessioni mi inducono
a considerare le armi non solo come oggetti la cui destinazione
naturale è l'offesa,ma anche un momento significativo
della Storia,della civiltà, della cultura,della creatività
e
talvolta dell'Arte di una Nazione.
Sarei felice, al di là del rispetto delle idee di ciascuno,
se la lettura di queste righe,inducesse anche un solo detrattore
delle armi,ad una riflessione più profonda ed attenta
e soprattutto scevra da pregiudizi politici.
Eugenio
de Bellis
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